Sono passati 8 anni da quando Allen Iverson era quasi un supereroe, da quando circolavano leggende sulla sua stessa genesi e le sue imprese sul parquet erano paragonate a passi della bibbia. Sono passati 8 anni dall'apice della sua carriera che rimane (e rimarrà) l'epica vittoria in OT in gara 1 della finale 2001 a Los Angeles. In quel momento tutti (o quasi) cominciarono a credere che Iverson fosse predestinato e che ce la potesse fare per davvero. Che nonostante una miriade di acciacchi sarebbe stato capace di guidare quel manipolo di mezze schiappe dei 76ers (Destiny's child li chiamavano durante quei playoffs) al titolo NBA contro la corrazzata Lakers, una squadra che era arrivata a quella gara 1 con un record immacolato nei playoffs, passeggiando contro avversari come Portland, Sacramento e San Antonio.
E invece non fu così. Quella rimane l'unica vittoria nell'unica apparizione in finale di the Answer. Il gigante O'Neal era troppo anche per AI. E da allora sono molte più le domande che ha suscitato che le risposte che ha dato. Even without talking about practice.
Oggi la sua reputazione e le sue quotazioni sembrano irrimediabilmente copmpromesse. E' considerato un giocatore troppo egoista, un difensore mediocre, un falso playmaker che non solo non rende migliori i compagni ma che non sembra in grado di avere un ruolo all'interno di una squadra che non sia quello di assoluto accentratore dominatore dell'attacco. Con i compagni che stanno a guardare. E con il suo stile di gioco se non è stato in grado di arrivare alla Terra Promessa nel 2001 non sarà certo in grado di farlo adesso, a 34 anni. Il tutto aggravato dagli esiti dello scambio Iverson-per-Billups fra Denver e Detroit dello scorso novembre: i Nuggets alle stelle e i Pistons alle stalle. Morale della storia, il già MVP e futuro Hall-of-Famer Allen Iverson, free agent, non ha uno straccio di offerta da nessuna squadra NBA. Neanche dai derelitti Memphis Grizzlies per i quali, tristissimamente, lui stesso aveva dichiarato che sarebbe stato felice di giocare. Non esattamente una contendente al titolo.
Triste, tristissima storia. Anche perché Iverson non la merita. Uno dei giocatori che più di ogni altro ha sempre dato tutto sul campo, entusiasmando e trascinando i tifosi nelle sue imprese. Un uomo che ha portato in finale una squadra che insieme a lui aveva in quintetto gente come Jumaine Jones e Tyrone Hill. Uno dei più grandi realizzatori di sempre dal basso dei suoi 183 cm. Un giocatore animato da uno dei più grandi spiriti competitivi che si sia mai visto su un campo da basket.
Questo ragazzo non solo probabilmente non infilerà mai un anello da campione NBA al dito (come altri prima di lui - Charles Barkley e Karl Malone in testa), ma adesso è costretto anche a vivere questa mortificazione.
Il problema però è che in effetti le domande restano. Sarà in grado Iverson di avere un ruolo diverso all'interno di una squadra rispetto a quello di accentratore che ha sempre avuto? Sarà capace di entrare dalla panchina, giocare con i compagni ed essere uno di quei veterani leader che aiutano le squadre a vincere? Se la risposta fosse positiva allora probabilmente ci sarebbe posto per lui in qualche sqadra che punta al titolo. Ma per ora, a Detroit, la risposta è stata negativa. Iverson ha bisogno di ricostruirsi una verginità cestistica. La soluzione può essere accettare l'offerta dell'Olympiacos? Non credo. Spero per lui che con l'avvicinarsi dell'inizio della stagione qualcuno sia disposto a correre il rischio e gli metta sul piatto un'offerta per un anno. A quel punto staremo a vedere quale sarà la risposta.
mercoledì 5 agosto 2009
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